Studiare per l'esame

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Quante volte, da ragazzi mentre eravate a scuola, vi siete ritrovati con la professoressa che vi ha chiesto una cosa che era stata spiegata e studiata due o più mesi prima e avete rimediato un brutto voto perché non la ricordavate affatto? “Era roba che non studiavamo da tre mesi…” E’ all’incirca la giustificazione che avete elaborato all’epoca di fronte al genitore sorpreso (n.d.r. che il genitore fosse sorpreso lo diamo per scontato…) per la vostra media rovinata. Molto probabilmente la cosa è finita con un sordo rancore verso la professoressa che ha fatto la domanda indelicata e la vita è continuata tranquilla.

In realtà vi è passato davanti un sintomo molto noto nel campo della tecnologia di studio che potremmo sintetizzare così: studiare per l’esame.

Se studiamo senza uno scopo preciso di apprendere per diventare competenti nella materia che stiamo studiando ci troviamo nella situazione di studiare qualcosa per il solo motivo di saperlo quando verremo interrogati. Questo ci porta a ricordare l’argomento solo per il tempo necessario per passare l’interrogazione. Soprattutto l’argomento verrà studiato senza essere ispezionato, con lo stesso metodo con cui apprendiamo le credenze (cioè l’apprendere cose più per fede che per ispezione, verifica, del dato), quindi lo studente si trova ad imparare qualcosa che comunque non saprà usare se non nell’ambito del semplice esercizio fatto durante il corso.

Facendo un esempio empirico nel campo della competenza, cosa pensereste di un cuoco che a termine corso non ricorda come si porta in ebollizione una pentola d’acqua e si giustifica dicendo “…era spiegato nella prima lezione  fatta sei mesi fa…”? E che pensate di uno studente del quinto superiore che non sa fare il calcolo di una percentuale e si giustifica dicendo “…mi è stato spiegato in prima media, sette anni fa…”?

Studiare per l’esame comporta il subire completamente l’indottrinamento cercando di essere preparati per l’interrogazione successiva. Studiare per diventare competenti comporta il continuo domandarsi: dove è usato questo dato? Dove trovo un esempio nella mia vita o nell’ipotetico lavoro futuro che mi faccia capire in che modo questo dato mi sarà utile e necessario?

Ad esempio il calcolo della percentuale possiamo vedere che torna utile in una miriade di casi tanto che possiamo ritenerlo un dato di base per la vita odierna. Entra in campo per calcolare quanto olio dobbiamo mettere nella benzina di un vecchio tagliaerba perché funzioni correttamente, quale banca ci farà pagare meno (e quanto ci costerà in tutto) il nostro mutuo, serve quotidianamente per tutti i lavori che hanno a che fare in qualche misura con il fisco (cioè tutti quelli legali…) e potremmo enumerare moltissimi altri casi. Questo giustifica perché è insegnato nelle nostre scuole elementari, è ripetuto nelle scuole medie ed è usato negli esercizi delle nostre scuole superiori. Ma quando ce lo hanno spiegato, chi ci ha spiegato anche a cosa sarebbe servito? E a noi è venuto in mente di chiedere a cosa ci serviva impararlo?

In pratica chi insegnava stava seguendo un programma che giustamente prevedeva la spiegazione del calcolo delle percentuali, chi era presente alle spiegazioni lo imparava senza chiedersi a cosa serviva impararlo dando per scontato che gli adulti sappiano sempre cosa stanno facendo. Alla fine, non avendo presente le motivazioni vere per cui era necessario impararlo, moltissimi hanno imparato il dato per un tempo necessario a superare un eventuale verifica scritta od orale.

Si può fare di meglio? Certamente ma occorre cambiare il punto di vista dello studente. Vi rimando alla prossima puntata per vedere come.

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2013 Autore: Antonio Pellati. Tutti i diritti riservati. Articolo scritto per Applied Scholastics Itlalia e Mediterraneo. 
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